Stati modificati di Coscienza

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LO PUBBLICO ANCHE QUI. ANCHE SE STO CERCANDO DI MIGRARE SU http://www.unaltrosguardo.it

Da moltissimi anni sono molto interessato e coinvolto nello studio degli stati modificati di coscienza. Preferisco chiamarli “stati modificati” anziché “alterati” per la semplice ragione che quest’ultimo aggettivo presuppone intrinsecamente una leggera connotazione negativa. Mentre stati modificati secondo me rende maggiormente l’idea di una variazione, spontanea o indotta, dello stato di coscienza. Si parla anche, nei casi più estremi, di “stati di allucinazione” e “stati di trance”, quando la modificazione porta alla percezione, sempre più forte, di altre realtà oppure di cose inesistenti.

L’argomento è ben poco conosciuto, nonostante tutto. Nonostante siano passati quasi 70 anni dalla scoperta dell’LSD e siano stati fatti innumerevoli studi riguardo al tema degli stati modificati in genere, si sa ancora poco su di essi, anche perché l’argomento non può essere trattato come qualcosa a sé, bensì deve essere riferito a quello che è in generale la coscienza nel suo insieme, anche quando non sopraggiungano modificazioni. Lo psicologo Charles W. Tart, della Stanford University, parla nei suoi lavori di stati modificati rispetto a uno stato di coscienza di base preso convenzionalmente come punto di riferimento. Egli stesso spiega chiaramente due cose. In primo luogo come non si possa parlare di stato di coscienza, per così dire, normale, ma si possa solo pervenire a stabilire quale sia uno stato di coscienza di base, dal quale partire per indurre modificazioni. In secondo luogo spiega come tali modificazioni possano essere solo di natura “discreta”, ovvero procedano a piccoli salti, come dei gradini di cambiamento da uno stato all’altro. Come avviene per gli stati energetici delle particelle subatomiche e per la distribuzione di massa nell’universo, che non sono continui, ma, per l’appunto, discreti.

Il tema in oggetto è stato più volte affrontato da studiosi, dalla letteratura, dai media, ma tutto sommato è ancora molto poco conosciuto, anche se fa ampiamente parte della storia dell’uomo. Stati modificati, soprattutto legati a credenze e religioni, sono descritti da libri antichissimi, soprattutto sacri o religiosi, come i Veda, la Bibbia, il Popol Vuh e molti altri. La disciplina dello yoga e le discipline psico-spirituali in genere sono proprio basate sulla ricerca scientifica della modificazione della coscienza. Questo accade proprio perché è del tutto intuitivo il fatto che, per percepire realtà più profonde e supernormali, non è sufficiente agire con i normali strumenti della coscienza di veglia più o meno accettata come quella standard. Occorre riuscire ad espanderla per poter percepire qualcosa d’altro. Uno dei dibattiti più accessi dalla notte dei tempi ad oggi è se questo qualcosa sia di natura reale oppure no. Naturalmente questo dilemma se ne trascina dietro un secondo immediatamente. Ovvero: cos’è la realtà? Cosa possiamo definire come realtà?

Mentre impazza la polemica che forse potrà pervenire e una soluzione o forse no, una cosa che chiunque può fare è la sperimentazione personale. Con lo yoga, la meditazione profonda, la meditazione trascendentale, ma anche con la danza, il teatro e mille altre discipline.

Gli stati modificati, in ogni caso, sono generalmente considerati dall’opinione pubblica, standardizzata e nutrita di disinformazione televisiva e altre droghe tecnologiche e mediatiche, come un tabù, qualcosa da cui stare alla larga. Specie se questi stati modificati sono indotti da droghe di vario genere.

E qui entriamo nel delicato e in uno dei temi più controversi e misconosciuti degli ultimi due secoli.

Baudelaire e i suoi amici, riconosciuti dalla letteratura ufficiale come grandi scrittori, non fumavano l’hashish, bensì lo ingerivano. Con questo tipo di assunzione gli effetti perdurano più a lungo. Erano forse i primi, nella società occidentale moderna, a fare uso di droghe, in aperta polemica con gli standard dei benpensanti dell’epoca. Tutte le altre occasioni passate nelle quali si utilizzavano stupefacenti erano legate a culture che le accettavano normalmente come facenti parte dell’insieme di usanze e comportamenti. Questo vale per le civiltà antiche di Roma e della Grecia, dell’India e molte altre. Lo stesso vale per le sostanze utilizzate dalle streghe, ancora in epoca storica, come la Datura, l’Aconito, la Belladonna e il Giusquiamo, che erano legate a precedenti culture (come per esempio quelle celtiche e nordiche) sopraffatte e spazzate via da quella occidentale. Al di là dell’utilizzo di droghe, in queste culture, la modificazione dello stato di coscienza era vista come normalissima e per lo più legata alla ricerca spirituale e all’afflato religioso. Solo nella nostra cultura occidentale tale ricerca viene vista come il diavolo ed è ufficialmente repressa e perseguita.

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La ragione è semplicissima: modificare lo stato di coscienza permette di allargare la propria visuale e di osservare le cose da punti di vista differenti. Permette inoltre di percepire realtà diverse che spesso mettono pesantemente in discussione tutta l’impalcatura sulla quale si regge, malferma, la traballante costruzione schiavista della civiltà occidentale. Una delle prime cose ad essere vietate in qualsiasi regime totalitario, di destra, di sinistra, di sopra e di sotto, sono sostanze stupefacenti e movimenti spirituali, a meno che non si conformino al potere costituito e gli tengano bordone. Come, per esempio, la chiesa cattolica con il fascismo e lo shintoismo con il governo di destra giapponese dello stesso periodo.

La repressione, paradossalmente, è ampiamente aiutata dai produttori e spacciatori di droghe sintetiche, come cocaina, morfina, eroina, ecstasy, crack, colle e altre schifezze simili, continuamente aggiornate o inventate. La spaventosa diffusione di questi veleni è dovuta principalmente a una enorme richiesta. Richiesta amplificata da un altrettanto enorme disagio, ma che parte da una necessità, probabilmente innata nell’esser umano, per l’appunto di modificare lo stato di coscienza. Tale necessità, misconosciuta o comunque repressa, ha portato nei decenni alla situazione spaventosa che vediamo oggi. Ovvero milioni di persone dipendenti da sostanze chimiche di sintesi, che non fanno altro che aspettare la morte dopo aver passato una vita di fallimenti dopo fallimenti, ma soprattutto all’insegna di una totale mancanza di amore.

Se ci fate caso spacciatori e luridi mafiosi  e narcotrafficanti vari fanno i loro business solo ed esclusivamente da droghe sintetiche. Sostanze di sintesi come la cocaina e l’eroina, che derivano sì in origine da piante come la coca e il papavero, ma che sono del tutto manipolate. Unica eccezione la marijuana, anch’essa però ultimamente abbondantemente manipolata. Gli allucinogeni potenti non hanno un mercato nero parallelo, poiché sono troppo impegnativi e non si possono assumere solo per divertimento. Le droghe comunemente spacciate sono perlopiù narcotici o stimolanti e non allucinogeni.

Ai cervelli totalitari questa situazione fa molto comodo, poiché possono additare un folto gruppo di persone come i drogati cattivi da sterminare e dei quali non seguire l’esempio. Mettendo in tale calderone chiunque assuma qualsiasi sostanza. Senza peritarsi di approfondire e capire che ci sono differenze profonde. Anziché peritarsi di capire per quale ragione tanta gente provi disagio, cerchi di fuggire chimicamente oppure cerchi, maldestramente, di esplorare le infinite possibilità della coscienza, oppure faccia della seria ricerca psico-spirituale.

Anche un ghiro alcolizzato si rende conto che assumere intrugli chimici velenosi sia assurdo. Purtroppo questo accade poiché chi ha bisogno di aiuto viene abbandonato a se stesso da questo sistema di merda ed essendo le droghe vietate, punto e basta, si lascia in totale balia della delinquenza comune o organizzata la loro produzione e distribuzione. I risultati li conosciamo tutti: veleno, morte, violenza, miliardi per produrre altra violenza, prostituzione, armi, ulteriore controllo, addirittura inquinamento pesante di quello che potrebbe anche essere un sistema capitalista sano. Un sistema perfetto per chi vuole controllare con la violenza e la paura tutta la situazione.

In tale sistema l’impiegato e il dirigente benpensanti fanno la loro grossa parte, voltandosi per non guardare o additando i cattivi e crogiolandosi nel loro ben-essere fatto di altre droghe come la televisione, le auto e il calcio, che loro non percepiscono come tali, ma come chissà quali figate.

In ultima analisi, spesso, le persone che hanno disagi o semplicemente cercano amore o solo di capire di più sul senso della vita, rimangono soli. Ma disgraziatamente per il potere economico-culturale che l’ha messa nel culo a milioni di persone per decenni, le cose oggi stanno cambiando. Sono ormai numerosi in tutto il mondo i gruppi di ricerca culturale, sociale, spirituale, che si stanno dimostrando in grado di far fronte a questa situazione disperata e di cambiarla.

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In tale contesto si inserisce anche il tema sostanze/modificazione della coscienza. Si tratta di un tema ancora tabù per gran parte della popolazione. Per tale ragione sto scrivendo queste righe, per dare il mio contributo personale.

Anzitutto la prima osservazione da fare è quella relativa a quanto già sottolineato sulla differenza sostanziale tra sostanze stupefacenti di sintesi e altre naturali. È fondamentale. Le sostanze di sintesi sono perlopiù veleni prodotti per essere venduti e fare business sulla salute degli altri. Mentre le sostanze stupefacenti e allucinogene naturali sono prodotte dalla natura e la loro esistenza è oggi ancora tutto sommato un mistero. Per mettere subito le mani avanti e non perdere tempo poi con obiezioni banali, dico subito che sì è vero, anche il curaro e la cicuta sono naturali e uccidono. Grazie al cazzo. Anche lavorare come uno schiavo tutta la vita fa venire il cancro, ma non per questo il lavoro in sé è qualcosa di negativo. Anche l’ingestione di esagerate quantità di cibo o acqua può uccidere. E guardare la televisione e i videogiochi per molte ore al giorno manda completamente fuori di testa. Quindi, in buona sostanza, per cortesia, lasciamo perdere tali obiezioni poiché il punto è cercare di capire come stanno le cose. E dunque una cosa sono i veleni sintetici prodotti per fare business, altra cosa sono piante e erbe, utilizzate da tempi immemorabili, anche per produrre stati mistici.

Da tempi immemorabili culture antichissime, come quella dei Veda  per esempio, spiegano come fare a modificare la coscienza, per percepire l’essenza dell’universo più profondamente. Lo yoga, il controllo della respirazione, la meditazione sono alcuni di questi strumenti. Altrove si usano altre pratiche e, sempre da tempi immemorabili, in Europa, in Asia e nelle Americhe, sono state spesso utilizzate piante psicotrope di varia natura.

Ora, mettere subito in competizione, alla maniera occidentale, lo yoga e il peyote, a mio parere non serve a nulla. È chiaro anche a un topo morto che ingerire sostanze possa essere mediamente più pericoloso che controllare il respiro, ma è anche vero che non è troppo logico liquidare come “negativo” un sistema che viene utilizzato da millenni, spesso con risultati quanto meno interessanti.

Gli allucinogeni utilizzati per scopi spirituali, mistici o religiosi, non hanno niente di sintetico, sono del tutto naturali. Si tratta di piante e funghi, diffusi nelle foreste tropicali e delle zone temperate, dotate di proprietà psicotrope che non sono casuali. Ovvero alcune delle sostanze chimiche che le compongono sono adatte a legarsi con specifici recettori del sistema neurologico umano. Tale legame talvolta può causare una modificazione della coscienza, allucinazioni, stati di trance e mistici.

Prima osservazione: perché questo avvenga è ancora un mistero.

Seconda osservazione, utile per evitare di nuovo perdite di tempo e anticipare osservazioni ridicole di chi ha idee rigide. Una delle osservazioni più stupide che vengano fatte è che le popolazioni del passato inclini al misticismo e a una visione più olistica della vita si siano estinte e non siano state competitive. Niente di più falso. Nonostante la colonizzazione barbara degli europei le antichissime culture come quelle dell’India e dell’Asia in generale non solo sono sopravvissute, ma sono oggi addirittura all’avanguardia nella visione dell’universo. Sono grandi studiosi come Fritjof Capra che hanno sottolineato la convergenza tra antiche concezioni Vediche e fisica quantistica. Nonostante lo sterminio perpetrato da spagnoli e altri popoli europei violenti, e nonostante la distruzione di un patrimonio culturale immenso e antichissimo, le culture mesoamericane non solo influenzano ancora oggi il mondo, ma gruppi indigeni più o meno grandi sono riusciti a sopravvivere, salvando persino costumi e tradizioni che si perdono nella notte dei tempi. E poi non ci vuole una laurea in storia per rendersi conto che anche i grandi greco-romani si sono estinti. E allora? Sono i normali cicli storici, come potrebbe confermare un Toynbee qualsiasi.

Tra queste popolazioni ve ne sono diverse che, per entrare in contatto con le profondità di se stessi, con l’universo e con l’infinito, utilizzano sostanze psicoattive. Come migliaia o forse decine di millenni orsono siano giunti a conoscere queste proprietà delle piante e a utilizzarle in maniera corretta, è un altro mistero, che sarà oggetto di una mia prossima trattazione. In ogni caso ci troviamo di fronte a una tecnologia botanica e farmacologica di altissimo livello proveniente da chissà dove e sviluppatasi in tempi antichissimi. Fatto sta che la conoscenza delle piante, dei minerali, persino degli animali, del vento e di altri elementi naturali per la cura delle persone sul piano fisico, spirituale e della coscienza, di queste persone è profonda e grandissima. Così grande, lo dico a beneficio degli appassionati della pericolosissima razionalità, da interessare professori emeriti di biochimica, farmacologia, botanica e fisica quantistica delle migliori università del mondo. Come per esempio, tanto per citarne un paio, Richard Evans Shultz, eminente biologo dell’Università di Harvard, e Albert Hoffman, scienziato ricercatore della Sandoz di Basilea, scopritore dell’LSD nel 1938. Scrissero insieme, tra l’altro, il volume “Allucinogeni e Cultura”.

Per una serie di eventi sincronici dei quali non solo non mi stupisco più, ma che addirittura ormai riesco in parte a vivere attivamente, sono entrato in contatto a Rio con una delle popolazioni più strutturate in questo senso, anche se non sono certo i soli: gli Huni Kuin.

Si tratta di una popolazione che vive nelle foreste dello stato amazzonico dell’Acre, in Brasile, al confine con il Perù. Oggi sono più di tremila e il vasto territorio nel quale abitano è di loro proprietà. Sono portatori di una cultura antichissima, in parte misteriosa, che si perde nella notte dei tempi e che è molto ricca. Artigiani sopraffini e artisti. Molti di loro suonano, cantano, dipingono, modellano, creano. Essendo parzialmente in contatto con la cultura occidentale sono in grado di creare un ponte di scambio creativo interessante, cercando di fare attenzione a non distruggere le tradizioni. Oggi alcuni di essi sono laureati in diverse discipline, altri sono anche fotografi e videomaker di livello e altri ancora rappresentano presso gli enti politici federali, la loro tribù. Ma quello che è l’aspetto più interessante è la conoscenza straordinaria dei misteri delle piante, sia per scopi medici e farmacologici che spirituali. Sapienza così profonda e seria da interessare l’Università e il Giardino Botanico di Rio de Janeiro, il Governo Federale e altre università di tutto il mondo, e persino gli esponenti brasiliani della chiesa cattolica.

Sono stato testimone dell’incontro tra una delegazione di sciamani Huni Kuin e i dirigenti dell’Istituto di Ricerca del Giardino Botanico di Rio. Incontro nel quale si è sancito, tra le altre cose, l’intento di collaborare per la ricerca in futuro.

Gli Huni Kuin, insieme al Giardino Botanico, hanno realizzato un libro, fotografico e di testo, dove vengono illustrate le caratteristiche botaniche e gli usi terapeutici di centinaia di specie tropicali. Una grande vittoria e un grande riconoscimento per questo popolo e per tutte le altre popolazioni indigene, che loro potranno aiutare per un futuro prossimo riscatto. Perché non sono certo i soli. Le popolazioni indigene presenti sul pianeta che non hanno ancora perduto la loro sapienza sono per fortuna ancora abbastanza numerose. Si può fare molto.

Ma quello che degli Huni Kuin è affascinante è il loro profondo equilibrio, la loro serenità e, soprattutto, l’amore. Quello che hanno per se stessi, per la foresta, per gli altri, per gli spiriti. Non si tratta di qualcosa di affascinante per hippy vagamente sognatori e nostalgici, bensì dell’osservazione della loro concreta capacità, ormai collaudata da millenni di vivere in armonia e, oggi, vivere in equilibrio tra due mondi, quello indigeno e quello tecnologico.

Tra le loro caratteristiche si trova un forte misticismo, come lo si può trovare in molte popolazioni indigene. Hanno una forte spiritualità che vivono in serenità e condividono continuamente all’interno delle loro tribù, ma anche con gli occidentali con cui vengono in contatto. In poche parole danno la sensazione di essere tutt’altro che poveri indios perdenti, ma persone molto ben radicate a terra, concrete, che badano all’agricoltura, all’artigianato e al commercio, ma anche alle terapie fisiche e spirituali. Al tempo stesso sono capaci di sognare, di volare, di comunicare con gli spiriti, a livello sorprendentemente profondo. Per fare tutto questo utilizzano la meditazione e l’amore, ma anche le piante, che conoscono e utilizzano da migliaia di anni. L’inizio di questa conoscenza si perde nella notte dei tempi e della leggenda.

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In particolare utilizzano il succo di due piante allucinogene Kawa e Hunì, conosciute dalla tassonomia occidentale come Psychotria Viridis e Banisteriopsis Caapi. Come si sia pervenuti millenni orsono a scoprire che le due piante andavano miscelate (per ragioni, sa oggi la scienza occidentale, di carattere biochimico) rimane un mistero. Gli Huni Kuin dicono che tutto quello che sanno sulle piante è tramandato da nove milioni di anni di generazione in generazione e che il primo maestro degli antenati arcaici fu Jiboia, l’Anaconda Sacro. Su queste tematiche di ordine mitico e cosmogonico tornerò in futuro con altri scritti, poiché sono troppo complesse e ci porterebbero ora troppo lontano.

Quello che interessa sapere è che non si tratta affatto di quattro indigeni sballoni disperati, bensì di popoli con una fortissima identità, un passato antico, solide radici, una sapienza profonda e nei quali si trovano anche persone che sono state in grado di andare a insegnare in università occidentali. Questi ragionamenti valgono per numerosi altri popoli.

Questo genere di persone, abituate a vivere nella foresta, immerse nelle piante, ha un rapporto con esse e con la natura, estremamente profondo e articolato. Frequentandoli potrei dire di aver avuto la sensazione che, in qualche modo, siano essi stessi, in parte, delle piante. Sono clorofilliani. Hanno nell’aspetto spesso qualcosa che ricorda semi, arbusti, radici, petali. Credo che l’uomo occidentale, dipendente dalle piante né più né meno che come tutti gli altri, visto che anch’esso si ciba di semi (il pane, il riso), radici (le patate), frutti e ortaggi, debba recuperare il rapporto non solo con se stesso e la natura, ma anche con il mondo vegetale in particolare. Le piante non sono solo cibo, ma anche rimedio, abiti e rifugio. Con le piante si fa tutto, incluso nutrire gli animali che alla fine danno latte e carne. Per un occidentale ormai tutte queste cose non sono altro che prodotti di un supermercato o di un negozio, ovvero la “coscienza” di che cosa sia ciò che mangiamo o usiamo per vestirci è ormai ridotta quasi a zero. Per un indigeno le piante sono amici, spiriti che ci indicano la via, alleati, entità da amare. Fra queste anche quelle che chiamano le “piante del sogno”, le quali possono stimolare sogni speciali o le piante sacre del “cammino incantato”, che possono portare in volo a “vedere” l’universo e la propria vita in modo diverso.

Alla luce di tali considerazioni ho sperimentato su me stesso la miscela sacra delle due piante Kawa e Hunì: l’Ayahuasca. Ho vissuto un’esperienza interessante e profonda che ho raccontato perché amo condividere e lo ritengo proficuo sul piano culturale e umano. Il racconto si trova a questo link: Allucinogeni sacri – Ayahuasca.

Al di là di ciò, tutto quanto riguarda l’esplorazione della mente, della coscienza, della psiche è ancora all’inizio. Si stanno recuperando antiche tradizioni allucinogene, ma si usano ormai da decenni lo yoga, la respirazione, e altre pratiche. Credo che l’obbiettivo non siano certo lo sballo, o solo il recupero dello stress o il rilassamento, bensì la ricerca di una nuova coscienza, più espansa. Una coscienza che tenga conto di quelli che sono i veri obbiettivi e significati della vita umana, che non sarò certo io a enumerare, ma che mi permetto di ipotizzare non siano la competizione, il conflitto, il possesso e la sopraffazione. Queste ultime sono nient’altro che la vera barbarie. La vera società barbara è quella occidentale odierna, che senza dubbio ha prodotto cose positive come la chirurgia, internet, l’attenzione ai diritti umani, il land-rover e la pizza, ma pagando un prezzo altissimo in termini di devastazione del territorio, della natura e, soprattutto, di vite e anime umane. Nel complesso, sebbene si siano ottenuti in vari campi risultati ottimi, siamo al fallimento in termini di vero “ben-essere” e letteralmente nei pasticci per quanto riguarda una serie di problemi quali l’estinzione di diverse specie, la depauperazione delle risorse e del territorio, l’equilibrio naturale. Abbiamo vinto il vaiolo, ma siamo devastati dal cancro.

Naturalmente non sto minimamente dicendo che assumere allucinogeni sia la soluzione a questi mali, ci mancherebbe altro. E non ritengo nemmeno che tutto ciò che è antico e tradizionale sia meglio. Quello che dico è che dare attenzione a nuove, ma anche antichissime metodologie per lo sviluppo della coscienza e l’approfondimento di quella che è la nostra Vera Vita, sia fondamentale per un futuro di pace, armonia ed equilibrio sia personali che per tutta l’umanità.

Testo e foto: MVillone

Il Turin Photo Festival e dintorni – Storia di una vittoria

TPF

Nel 1998 feci un primo reportage sulle comunità straniere a Torino, specie quelle nigeriane. Seguito da altri in Nigeria, poi in Cina, nel resto d’Italia e in altri paesi. Reportage soprattutto orientati all’attualità sociale, ma anche ai viaggi, difficilissimi da vendere. Nonostante questo riuscii a pubblicare in Italia e all’estero su testate come Elle, Marie-Claire, Itinerari e luoghi, l’Espresso, Kult Magazine, Itinerari, Oltre Magazine e altre. Reperii in seguito un minimo di fondi per realizzare delle mostre che feci sia in Italia che, successivamente, in altri paesi come Cina, Russia, Brasile. Per due anni esposi una grande mostra personale che approfondiva il tema dell’immigrazione in Italia: “Beyond the Skin Colors”. L’idea era soprattutto quella di approfondire la cultura delle terre d’origine. Realizzai così una lunga e approfondita missione in Nigeria, dove realizzai un reportage sulla stregoneria e i culti locali. Oltre alle pubblicazioni sui periodici e in una mostra presentai la ricerca all’Università di Amsterdam in un convegno su antiche e nuove religioni. Precedentemente avevo ideato e realizzato una rassegna intitolata “Fotografia al Femminile” che ebbe un certo successo, recensita da numerosi giornali e siti. In seguito portai dalla Francia a Torino, in occasione delle Olimpiadi invernali, la mostra “Un secolo di Sport in Fotografia” del quotidiano francese l’Equipe. Poi ho realizzato la rassegna intitolata “Turin Photo Festival” che ha avuto, insieme alle altre, nonostante i budget molto contenuti una rilevanza internazionale, con fotografi provenienti da Italia, Cina, Brasile, Russia, Francia, Israele, Danimarca, Stati Uniti, Messico, Argentina, Senegal, Gran Bretagna, Olanda.
Le idee che intendo portare avanti sono fondamentalmente tre, oltre naturalmente il semplice fatto di fare cultura e di divertirsi. La prima dimostrare a tutti, corrotti compresi, che si possono realizzare eventi di rilievo internazionale anche con budget contenuti. La seconda che si può far sentire la propria voce partendo dal basso e dimostrare che si può essere tutti uniti. Infatti il Turin Photo Festival è aperto a tutti e la prima edizione fu, volutamente, realizzata in diversi loft, locali e spazi, non necessariamente dedicati alle mostre e all’arte. L’idea è quella di “invadere” la città capillarmente, coinvolgendo locali e negozi e facendola diventare per un periodo una città fotografica a livello sociale e popolare. Il primo tentativo fu un successo, con 25 location sparse sul territorio cittadino. Negli anni successivi facemmo altri esperimenti in location diverse, come per esempio la ex Manifattura Tabacchi, concessaci dall’Università e che fummo i primi a utilizzare per una grande rassegna. Alle mostre, negli anni, hanno partecipato molti fotografi provenienti da ogni parte d’Italia e del mondo, tutti estremamente motivati a esporre. Inclusi parecchi che in seguito, attaccarono e boicottarono le mie iniziative. Nessuno, dico NESSUNO, ha mai avuto le palle per guardarmi in faccia e spiegarmi il perché. Solo una volta fui invitato nella sede della CNA di Torino, per un incontro sotto il nostro stesso marchio, dove venni attaccato da una serie di tizi, di cui alcuni mai visti, che non avevano nemmeno capito quali fossero le istanze della mia proposta. Ma andiamo avanti, mica si può pretendere da chi crede di essere “qualcuno” solo perché schiaccia un pulsante e magari ha la terza media.
Quando iniziai a occuparmi di fotografia ebbi un grande appoggio da Luisella d’Alessandro presidente della “Fondazione Italiana per la Fotografia”. Sono molto grato a Luisella, con cui si fecero molte cose interessanti. Adesso quando mi incontra finge di non vedermi. Non mi ha mai detto perché. In sostanza proprio non ne conosco il motivo. Avevo anche parlato bene di lei sul catalogo della prima edizione del Festival. Ma procediamo ancora. Anzi parliamo proprio del catalogo. Quando lanciai la prima edizione del festival cercai molti partner, nutrivo molta fiducia nella gente. Incocciai in un impostore dell’arte che sembrava entusiasta. Propose alcuni suoi artisti, che esponemmo, e si offrì di realizzare il catalogo. Peccato che utilizzò la tipografia serissima di un nostro caro e onestissimo amico, il quale si vide costretto a fargli causa per recuperare i soldi della stampa. Cosa che avvenne con il sequestro di alcune opere d’arte che V.S. teneva in casa. Quando si dice attenti ai furbetti. Pensa un po’. Un altro tizio, di Milano questa volta (quello che è giusto è giusto), si offrì di farmi il sito, che pagai regolarmente con mille euro. Peccato che quando gli presentai i responsabili de lastampa.it per aprire il “canale fotografia” del quotidiano on-line pensò bene di scavalcarmi e fare lui il contratto con la casa editrice.
Il Turin Photo Festival, tra gli altri, noti, meno noti ed emergenti, ha coinvolto tra esposizioni, interviste sui miei blog e convegni, fotografi del calibro di Gabriele Basilico, Francesco Cito, Mimmo Jodice, Maurizio Galimberti, Franco Fontana, Ugo Panella, Gabriele Torsello, Maura Banfo, Franco Donaggio, un artista come Fabio Pietrantonio. Ma sono moltissimi i fotografi esposti in Ha coinvolto un antropologo come Alberto Salza e un gallerista come Guido Costa. Ma soprattutto ha, tra i suoi sostenitori, non per finta bensì concretamente, una donna del calibro di Paola Gribaudo, esponente, insieme a suo padre e nostro grande amico, il Maestro Ezio Gribaudo, del meglio della cultura dell’arte italiana ed europea. Ma anche il direttore de La Stampa, Mario Calabresi, non ha lesinato la sua presenza quando abbiamo realizzato un premio fotografico per il reportage sociale.
Molta gente, tra fotografi, artisti e imprenditori, si sono fatti coinvolgere con entusiasmo, e non di sicuro per denaro, visto i nostri budget, mettendo a disposizione conoscenze, opere, location e materiali. L’obbiettivo era quello di dimostrare che si potevano realizzare iniziative culturali dal basso e con pochissimo denaro. Mi spiace per i detrattori, ma l’obbiettivo è stato raggiunto al cento per cento. Abbiamo fatto vedere che SI PUO’ FARE. Molti dei fotografi esposti nelle mie rassegne hanno poi ottenuto rilevanti risultati sul piano internazionale. Gli unici che non hanno capito un accidente sono i fotografetti türineis che credono di “essere la fotografia” quando basta andare a Rivoli che nemmeno sanno più di chi diavolo si sta parlando. Uno di questi poi è particolarmente divertente. Durante una mostra organizzata con Witness Journal di Milano, con numerosi fotografi di rilievo e con il Gruppo Puglia Photo di Gabriele Torsello, si è presentato senza salutare ed è sgattaiolato dentro. Manco me n’ero accorto e non so come sia entrato, forse strisciando. Per poi scrivere un articolo assurdo sulla fatiscenza della location, senza capire che era stata scelta da noi con Torsello e Witness Journal proprio per sottolineare la crudezza delle situazioni descritte dai reportage. Pubblicò l’articolo proprio nella sezione fotografia de lastampa.it. Probabilmente il poveraccio non ha ancora capito che, se ha avuto questa opportunità è grazie a me che proposi l’idea al giornale. Un’altra testa di tonno che merita una menzione per la sua pochezza è un tizio che avrò visto sì e no tre volte in vita mia e che si è peritato di insultarmi su Facebook poiché avevo parlato della Canon G12 e di Rio. Riteneva che facessi pubblicità alla Canon e me la tirassi perché sto a Rio, spiegandomi che, udite udite, nella sua azienda mi avevano classificato come un perdente. Mamma mia che paura, mi tremano già le palle per la vergogna. Ma andate a cagare idioti, che se fossi un vincente per voi dovrei andare dallo psichiatra tutti i giorni, come molti di voi fanno. Ci sono problemi serissimi al mondo, a cominciare dalla nostra vita spirituale, e voi trovate il tempo di venire e scassare il cazzo in internet?
È triste avere a che fare con simile pochezza. Tale pochezza, insieme al molto lavoro e alle grandi difficoltà nell’organizzare con pochi soldi una simile impresa, semplicemente mi ha stufato. Potrei andare avanti all’infinito e magari avrò altre occasioni. Ma quello che mi interessa dimostrare è solo quanto sono cretini i poveracci che credono di essere furbi, mettendo i bastoni tra le ruote a qualcuno che ha avuto il coraggio di essere se stesso e di provarci. Oltretutto vincendo. E dunque un’iniziativa che a Torino e in Piemonte poteva coinvolgere ancora più persone di quanto non ha fatto, si è arrestata (per proseguire altrove) a causa dell’incompetenza dei leader delle istituzioni e dell’inettitudine dei fotografi.
È così che ho cominciato a dedicarmi di più ai viaggi e poi a lavorare nel turismo responsabile. Ma non solo, ho deciso anche di far sì che la mia attività di viaggiatore, reporter e organizzatore abbia una ricaduta in campo sociale. Mi occupo della direzione di una ONG a Rio de Janeiro. È dura, ma le soddisfazioni grandi. Oltre a seguire un Centro per bambini che stiamo trasformando anche in laboratorio culturale, realizzo mostre, reportage, scrivo articoli e sto lavorando a diverse pubblicazioni. (In calce a questo articolo i progetti a Rio de Janeiro).
La sostanza comunque rimane sempre la stessa. Io sono soddisfattissimo e felice del lavoro svolto in tutti questi anni, dei risultati raggiunti e del divertimento con gli amici. Ho dimostrato che si potevano avere idee, E OTTENERE RISULTATI, senza dover scendere a compromessi con qualcuno che alligna a Palazzo.
E voi, fotografetti türineis, cosa avete fatto?
Nomi e cognomi nello spettacolo teatrale con regia del grande Ivan Tanteri. Che ringrazio inoltre per la supervisione dei testi della sceneggiatura e di questo.
Baci e abbracci. Allo spettacolo teatrale stiamo lavorando…
Mauro Villone

Si può fare

Il Progetto ParaTi/Unaltrosguardo procede e si sviluppa, aprendo nuove opportunità e nuove strade per la diffusione di una cultura del dialogo, della condivisione, della partecipazione, del confronto non competitivo, dell’amicizia, della solidarietà, della pace. Sembra troppo, lo so. Ma vogliamo dare un segnale, oltre a dare il nostro davvero minuscolo contributo occupandoci di un’ottantina di bambini e della loro comunità. I bambini di strada solo in Brasile sono 7 milioni. È per tale ragione che continuiamo a comunicare. L’obbiettivo è quello di dimostrare che lavorare per i sogni è possibile, anche se spesso le difficili condizioni finanziarie, politiche, sociali ed economiche non ce lo permettono. Ragione di più per continuare a provare. Per questo motivo sto realizzando una piccola pubblicazione che mostra alcune delle cose fatte dal 2006 al 2014, in particolare con diversi grandi artisti e creativi culturali, più e meno famosi, e altre numerose persone che sono state coinvolte, che in questa occasione fungeranno anche da testimonial del nostro progetto.
2006. Realizzazione di Lidia Urani e Mauro Villone del libro Unaltrosguardo, fatto con le foto scattate dai bambini dai 6 ai 12 anni, di para Ti.
2007. Mostra delle foto del libro Unaltrosguardo realizzata con il supporto dell’Istituto Italiano di Cultura di Rio e con l’aiuto di Maria Pace Chiavari, per la rassegna internazionale FotoRio dell’antropologo Milton Guran.
2008. Intervento dell’attore e regista teatrale Ivan Tanteri che ha realizzato uno spettacolo di strada coinvolgendo i bambini di Para Ti, gli abitanti di Vila Canoas e la locale banda di Samba “La Furiosa”.
2009. Apre i battenti la Boutique “Madeinfavela”. Vengono studiati e commercializzati capi di abbigliamento, accessori e oggetti per diffondere la cultura locale e autofinanziare il progetto. Luciano Lima, artigiano-artista di favela realizza diversi lavori per Para Ti e viene ospitato nella boutique.
2009-2011. Battuta d’arresto. Una difficilissima situazione di salute familiare ci ha impedito di proseguire nei progetti e ci ha costretto a una totale riorganizzazione per ripartire più forti e motivati di prima. Vengono realizzati tre nuovi spazi all’aperto.
2011. Esponiamo nel nostro Turin Photo Festival le foto degli occhi dei bambini di Para Ti. Opera realizzata da Mauro Villone e Lidia Urani.
2012. Realizzazione del video “Mira” della cantante di jazz-blues di Philadelphia Melody Gardot. E con il suo staff proveniente da USA e GB.
2012. Apertura ai volontari con l’intervento di Giulia e Chiara Cappellini che hanno realizzato laboratori creativi e una performance dedicata alla grande cantante brasiliana Carmen Miranda.
2012. Viene intensificata la partnership con la Casa do Menor di Padre Renato con l’obbiettivo di operare insieme per la denuncia sociale e l’aiuto ai ragazzi. Padre Renato diventa per noi un punto di riferimento sociale e umano. Da lui abbiamo assorbito il concetto di Pedagogia-Presenza.
2012. Pheel Carlos Balliana, cantante italiano di rilievo internazionale, il quale ci ha introdotto a Melody Gardot, progetta, insieme a Melody, la realizzazione di un laboratorio musicale per i bambini. Insieme a Joao Henrique Carlos realizza interventi creativi di pittura del viso con i bambini.
2012. Mauro Villone continua a realizzare il laboratorio di Pizza Italiana con i bambini.
2012. Lanciamo nel nostro Turin Photo Festival il Premio di Fotografia Sociale Franco Urani. Vinto da Marco Bottani.
2012. Aziza Karrara, imprenditrice di Torino italo-egiziana fornisce con la sua azienda, produttrice di colori, stencyl e accessori per l’arredamento creativo, materiali per laboratori con i bambini. Aggiunge una significativa donazione in denaro. Regina Re Fernandes, docente all’Università di Rio e grande esperta di colore e comunicazione visiva, tiene alcune lezioni utilizzando questi materiali.
2012-2013. Realizzazione della ParaTi Guesthouse per ospitare le residenze d’artista e per autofinanziare il progetto.
2013. Prosegue l’attività con i volontari provenienti da Italia, USA, Uruguay, Francia, Germania. La danzatrice francese Flore Morel tiene alcune lezioni di danza a Para Ti.
2013. Marcelo Dantas, pittore di grande talento della favela Rocinha inizia a vendere le sue opere nella boutique “Madeinfavela”. Affresca sei camere della Guesthouse e tutte le aule e gli spazi del Centro per i bambini.
2013. Iazaldir Feitoza, ex bambino di Para Ti e ragazzo di favela, diventato campione internazionale di corse in montagna, tiene un workshop su Sport e Salute ai bambini di Para Ti.
2013. Domenico Villone e Gladys Mosso si recano in visita a Rio e Para Ti. Domenico realizza un laboratorio creativo con i bambini insegnando a utilizzare materiali di recupero per costruire plastici e un teatrino con i burattini. Gladys, costretta in sedia a rotelle, dona la sua Presenza ai bambini.
2014. Marco Bottani, fotografo professionista, specializzato i fotoreportage sociale, vincitore al Turin Photo Festival 2012 del Premio di Fotografia Sociale Franco Urani, viene ospitato a Para Ti Guesthouse per una residenza d’artista.
2014. Ivan Tanteri, dopo gli interventi degli anni passati a Vila Canoas e, soprattutto, alla Casa do Menor Brasil di Padre Renato, torna a Para Ti per una residenza d’artista. Sta realizzando un laboratorio teatrale con i bambini, utilizzando la sua lunga esperienza di grande artista-ricercatore e le sue metodologie creative pedagogiche.
2014. Iano Nicolò, musicista free-lance e cantante degli Arti&Mestieri e Elena Vecchi, pittrice, creativa ed educatrice saranno a Rio, ospitati da Para Ti, con i ragazzi del Centro l’Aquilone di Alba per una residenza socio-pedagogica e per tenere laboratori creativi con i bambini di Para Ti.
2014. Il grande musicista brasiliano Pierre Aderne raccoglie la proposta di Melody Gardot e Pheel Balliana di dar vita a un progetto musicale a Para Ti, Rio de Janeiro. Lancia un appello su Facebook a cui rispondono decine di artisti, musicisti e non, inclusi gli amici di Rio di Ivan Tanteri del Gruppo teatrale Moitarà.
Andiamo avanti!
Che ne dite? Si può fare no?
Qui sotto il video di Melody girato a Para Ti

MIRA – MELODY GARDOT