Volontariato

Volontariato è una parola che negli ultimi venti anni è stata enormemente usata e anche abusata. Il governo italiano chiama, per esempio, “volontari” dei funzionari statali strapagati (anche fino a 10.000 euro al mese) per scaldare una sedia e non fare un cazzo dal mattino alla sera in aree disagiate dove è necessario esserci anche per ragioni politiche e di relazioni internazionali. Volontari sono anche dei mercenari ben pagati che non hanno paura di mettersi nella stramerda per guadagnare molto di più di quanto fanno di solito. E via dicendo.

Naturalmente è anche strapieno di volontari sinceri che sono disponibili in terremoti, alluvioni, disastri di ogni tipo, ricerche, guerre, ospedali, carceri, olimpiadi e mille altre occasioni. Tra questi si trovano anche volontari che si recano fuori dal proprio paese. I volontari sinceri in genere, a nostro modo di vedere, lo fanno perché hanno capito che si tratta di una filosofia di vita vincente che fa bene a cominciare da se stessi per terminare con un miglioramento, seppur piccolo, delle condizioni di tutto il pianeta. Questo per la semplice ragione che occuparsi degli altri (oltre che di se stessi) per creare valore (non importa quanto e in che modo) crea energia positiva.

Per venire rapidamente agli aspetti pratici vorrei parlare del volontariato che conosco un po’ meglio che è quello che si fa nel proprio paese o all’estero in campo educativo e culturale per dare sostegno a persone che, sebbene siano dotate di grande valore, si trovano per ragioni di vario tipo in difficoltà anche grandi. Non importa se in un campo nomadi, una scuola, un doposcuola, un centro sociale, una galera. Come ho già avuto modo di sottolineare più volte, anche in questo blog, in qualsiasi caso, di solito, occorre essere anzitutto consapevoli del fatto che rendersi disponibili in qualche modo fa bene in primo luogo a se stessi. È quasi sempre di più quello che si prende che quello che si da.

Personalmente mi occupo di incontri e attività in carcere molto saltuariamente, mentre presto la mia opera assiduamente presso la ONG Para Ti di Rio de Janeiro, dove faccio parte anche della direzione. Inoltre cerco di ampliare il raggio di azione sia in Brasile che in Italia che in altri paesi. Quello che so fare, come posso, è comunicare emozioni, cultura, entusiasmo, progetti. Dico “come posso” per la semplice ragione che agisco nei miei limiti che sono ampliati dalle difficoltà dovute nel trovarsi di fronte persone che non mangiano tutti i giorni, sono prive della libertà,  non hanno riferimenti comportamentali, a volte sono adottati, altre abbandonati, altre ancora violentati, poveri se non addirittura in miseria, menomati fisicamente o mentalmente, usati, abusati, portati a delinquere, violenti, tossici, alcolizzati e, talvolta, addirittura trovati nella spazzatura.

Naturalmente tutto questo non vuol dire nient’altro che il lavoro si presenta più difficile, mentre i benefici restano poiché, per ragioni che sfuggono all’intelletto, ma non all’immaginazione, spesso queste persone hanno una umanità, una saggezza, una profondità di pensiero, e un empatia di gran lunga superiori a quelle in possesso a chi se la passa meglio sul piano materiale.

L’impegno che mi sono preso e che, in primo luogo, mi diverte e mi da gioia, è molto grande. Posso farlo poiché mi sono organizzato in modo da vivere con relativamente poco. Inoltre ciò che mi serve riesco a procurarlo sempre con l’arte e la cultura alla quale sto via via aggiungendo i viaggi, che mi vedono sia come organizzatore e accompagnatore che come esploratore e fotografo.

Detto questo, mi rendo anche conto che è bello offrire anche ad altri l’opportunità di fare del volontariato. Si tratta di una delle esperienze più ricche e profonde che si possano fare, ma non è uno scherzo.

Prima di tutto si deve guardare molto bene dentro se stessi per capire cosa veramente si desidera. Abbiamo incontrato un sacco di gente che voleva riempire in una maniera diversa il tempo di una vacanza. Questo non va bene. Così come ci è capitata gente che si proclamava volontaria e pretendeva vitto e alloggio. Nemmeno questo va bene poiché persone che vengono a fare “volontariato” per una, due o tre settimane, è più il lavoro che danno che i benefici che offrono. In questi casi siamo noi dello staff insieme ai bambini che facciamo i volontari per loro. Visto che comunque la buona volontà ce l’hanno non chiediamo soldi, ma vitto e alloggio se lo devono pagare autonomamente.

I veri volontari o conoscono la lingua di dove si recano oppure devono saper comunicare empaticamente o con gli sguardi o con i gesti. Ci sono persone con difficoltà fisiche come ciechi e sordomuti che possono dare moltissimo. Bisogna soprattutto non avere remore a trasmettere la propria esperienza di vita. Oppure saper insegnare qualcosa di cultura o di artigianato, saperci fare con la gente e soprattutto con i bambini. Ma soprattutto avere umiltà, umiltà, umiltà, rispetto, rispetto, rispetto e infinita compassione.

Non ce niente di più desolante di una persona che viene a fare “volontariato” per due settimane e ti spiega come rimodernare il centro e trattare i bambini, dopo che altre persone hanno passato trenta e più anni a spaccarsi la schiena per organizzare una Vita per altri in posti dove il 99% della gente vorrebbe solo alzare i tacchi. Quando i centri sono ormai fatti e funzionano è facilissimo trovare “consulenti” che “sanno” come si fa in una favela, in uno slum, in un riformatorio, con i bambini e i ragazzi.

Una volta ci è capitato un insegnante di inglese (ma tedesco) che, dopo tre lezioni, in cui non riusciva a “tenere” 20 vivaci bambini di favela ci ha “convocati” per “spiegarci” che quello che manca in Brasile è l’educazione. L’avrei picchiato serenamente se non fosse che rimasi di sale e mi limitai ad accompagnarlo alla porta. Gente così non serve a niente, nemmeno a se stessa. Servono invece: adulti con il cuore da bambino, creativi culturali, artisti col cuore in mano, adulti capaci di seguire la strategia di Peter Pan, giocherelloni, immaturi, artigiani pazzi, educatori che educano prima di tutto se stessi. Ma soprattutto Persone di valore che sappiano di dover imparare e non insegnare, e che abbiano molto tempo da dedicare. Ma soprattutto persone tremendamente capaci di Amare.

Per riuscire a fare del volontariato occorre entrare in profonda empatia con le culture locali, le persone, gli staff che lavorano nei centri (spesso da molti anni), imparare lingue e usanze, ma soprattutto avere una voglia profondissima di capire il grande valore di culture indigene che spesso sono in difficoltà e non per colpa loro, ma per motivi enormemente complessi e di difficile comprensione. In una parola ci vuole una enorme voglia e il grande coraggio, di affrontare l’impatto con la libertà, la propria libertà di fare ciò che si vuole insieme ad altri. Altri che sono già in gran parte liberi proprio grazie al fatto di trovarsi ai margini della cultura materiale, ma a grande profondità, invece, nella cultura della solidarietà. Bisogna essere pronti a mettersi profondamente in discussione, a emozionarsi e talvolta a piangere, tutti i giorni. L’ho detto in apertura che non è uno scherzo.

E veniamo a noi.

Para Ti è una ONG brasiliana fondata dalla famiglia italiana Urani residente fin dagli anni ’60 in Brasile. Info su: http://www.parationg.com. Scopo dell’associazione, che opera da oltre 25 anni, dare sostegno concreto a bambini e ragazzi della favela di Vila Canoas e di altre limitrofe. I risultati in 25 anni sono stati sorprendenti, con oltre 300 bambini sostenuti ogni anno di cui oggi quasi 50 sono arrivati alla laurea. La scolarizzazione della comunità di Vila Canoas è passata dal 20 al 98%.

Para Ti, che da 20 anni è un progetto pilota a livello internazionale, intende dare la possibilità a chi lo desidera di sostenere i bambini e il progetto Para Ti.

Per chi fosse interessato a visitare il centro o a fare volontariato o comunque dare un aiuto può scrivere a lidiaurani@hotmail.com o telefonarle al cell. 0039-392-7823427.

Le attività attuali sono concentrate sull’educazione e la didattica dei bambini, con corsi e laboratori di artigianato, fotografia, gastronomia, sostegno scolare generale e cultura generale.

I bambini vengono seguiti giornalmente, anche per quanto riguarda l’alimentazione. Para Ti è inoltre molto impegnata nello sviluppo sociale e culturale della favela di Vila Canoas e di altre comunità a Rio con lo sviluppo di programmi culturali e di valorizzazione delle persone e dell’artigianato realizzato con materiali di riciclo. Il progetto sull’artigianato è denominato MADEINFAVELA. Con Para Ti Guesthouse e Unaltrosguardo si sta invece sviluppando il turismo sostenibile, responsabile e consapevole. Para Ti è un’esperienza spirituale molto profonda. Scaturisce dal profondo cambiamento di un’intera famiglia a contatto con una realtà poverissima, talvolta misera e indigente, sempre difficile, ma straricca sul piano umano. Ci sono voluti 25 anni per costruire una realtà sociale profondissima e di difficile comprensione. Per avvicinarvisi occorre avere molta umiltà e, soprattutto, lo ripetiamo ancora, capire che è molto di più ciò che si prende che ciò che si da. Per collaborare come volontari è necessaria una riflessione molto profonda e la capacità di capire il delicatissimo lavoro che la direzione insieme al suo staff fa con bambini provenienti sempre da situazioni difficili e, spesso, da situazioni terribili. Per coordinare questo ambiente difficilissimo, ma ricco di umanità occorrono grande esperienza e una conoscenza profonda della cultura brasiliana popolare. E grandi doti di leadership.

Per Info: Mauro Villone 348-7299033 e mauro.villone@libero.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

4 thoughts on “Volontariato

  1. sebbene non abbia mai lavorato fuori dall’Italia se non in Nigeria e in una Università, non un luogo di miseria, condivido profondamente quello che scrivi. Sono convinto come te che non sia necessario (possibile?) fare o rivoluzioni o niente… fare anche poco, in qualunque luogo, per aiutare a mantenere in equilibrio questo mondo strano e ”matto” è quanto di meglio ciascuno di noi può fare. A casa, in parrocchia, in una associazione culturale, sul lavoro.
    Dimostrare buona volontà, dimostrare ”che è possibile”

      • Aggiungo che anch’io, come Marco, non è che creda di fare chissà cosa, se non per me stesso. E se non dimostrare, appunto, che è possibile. Come hanno anche dimostrato una volta di più nelle Olimpiadi (senza dubbio contestatissime per l’eccesso di business, potere e mille altri problemi) appena concluse gli 80.000 volontari. Credo che tutti abbiano il sacrosanto diritto di credere che sia possibile.

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